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freschi di stampa

serie di volumi tra immagine, storia, racconto e didattica 

 

 

 

 

 

1973 viva i bambini

Titolo: Viva i bambini

catalogo fotografico monografico .

Serie di ritratti di una infanzia dolente ed emarginata.

Libretto catalogo della mia prima personale fotografica con dedica a Paola , al tempo mia moglie. 

 

 

  

1977 vivere in baracca

 

Titolo: Vivere in baracca

Volume fotografico realizzato in collaborazione con la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.

Tema: Il vivere precario nella estrema periferia di una metropoli

 Numero monografico de: “i grandi fotografi”, supplemento a Fotografia italiana, pagg. 54

Editrice Il Diaframma Fotografia Italiana, Milano.

 

 

Anche l’operazione più rigorosamente analitica; più ambiziosamente oggettiva è sempre un’interpretazione: a volte proprio il rigore, l’aspirazione all’oggettività, hanno per effetto la soggettivizzazione più completa della realtà analizzata. Gli altoforni e le torri d’acqua dei Becher - non è casuale questo riferimento, anche Mina sta catalogando torri d’acqua, e con un taglio del tutto personale - sono fissati sulla carta con i modi di una standardizzazione cosi stereotipata da porsi quasi come oggetti astratti. Sarà impossibile per un qualsiasi curioso che si rechi nella Ruhr alla ricerca dei monumenti industriali documentati dai due artisti - fotografi tedeschi riuscire a riconoscerli. I Becher compiono un’operazione di rilievo quasi scientifica. Ma anche il rilievo più scientifico non è tale da darci una immagini totale della complessità di un fatto o di un oggetto. Il rilievo - qualsiasi rilievo -di per sè, per quelle che sono le sue caratteristiche di strumento, limita sempre la realtà del fenomeno che vuole documentare; la estrapola dal suo contesto; ne fa una copia più o meno fedele - ma quasi sempre molto infedele - che è sempre necessariamente anch ‘essa un’ analisi e un’interpretazione. Ne accentua alcuni aspetti sottacendone altri; la smonta correndo spesso il rischio di disinnescarne il potenziale umano, di sminuirne la drammaticità, in altri termini di sterilizzarla. Il problema non è allora tanto quello di trovare un introvabile nuovo modo di rappresentazione, nè quello di raggiungere un’oggettività astratta:

l’immagine o l’analisi talmente perfette, da essere simili in tutto al fatto documentato o studiato. ~ piuttosto quello di scegliere, di un fatto, gli aspetti che soggettivamente si ritengono più importanti, denunciando apertamente le proprie scelte, e di fornire per ognuno di essi quell’insieme di dati o di immagini sufficiente a qualificarlo, a definirne i confini; cercare di avvicinarsi alla completezza ben sapendo quanto essa sia irraggiungibile, e dichiarare i

limiti del proprio operato ponendo cosi il lettore nelle condizioni di non ingannarsi e di non essere ingannato, ed un eventuale nuovo rilevatore nelle condizioni di andare oltre, verso l’elaborazione di un’analisi ancora più completa. Queste considerazioni non vanno assunte come una norma assoluta: sono solo una delle molte posizioni sul problema. Tuttavia ci pare che Mina le condivida pienamente. Il suo lavoro si inserisce con coerenza nel contesto che abbiamo anunciato e il risultato è un’analisi condotta per approssimazioni successive che fornisce il materiale più completo possibile, denunciando chiaramente la profonda simpatia dell’autore per il fenomeno analizzato, lasciando contemporaneamente al lettore una piena libertà di valutazione. La scelta dei punti di vista non vuole ingannare. Si tratta di visuali qualsiasi; non si cede alla tentazione di scegliere l’angolatura migliore, quella dalla quale, con l’inquadratura sapiente e l’ottica adatta, anche la baracca può sembrare una reggia. L’evidenziazione dei particolari, attuata per mezzo di tagli operati nella totalità degli oggetti o degli ambienti, diventa la denuncia dell’operazione, che vuole appunto essere un taglio nella realtà complessiva del fenomeno: l’individuazione di alcuni livelli attraverso i quali leggerlo.

 

 

 

 

1978 wanted

 

Titolo: Wanted !

Autori: Ando Gilardi, Attilio Mina, Paola Bergna/Mina/Scianna, Luciana Barberino.

Tema: Storia tecnica ed estetica della fotografia criminale, segnaletica e giudiziaria

e del suo contributo a l’arte contemporanea.

 

Editore: Gabriele Mazzotta , Milano

 

 

Questo libro è dedicato ai « manigoldi con la camera oscura », come li chiamava un poeta da galera: ai protofotografi della polizia, all’ita­liano Umberto Ellero specialmente, che fu maestro nell’arte. E poi de­dicato ai loro modelli: le puttane tesserate, i ladri matricolati, i pregiu­dicati di varia qualità schedati fotograficamente. Fra di loro i politici:

è dedicato agli anarchici venuti per primi, poi a tutti i rivoluzionari che li hanno seguiti, a centinaia di migliaia. Da Lenin a Gramsci, fa­mosi e anonimi, di faccia e di profilo posarono davanti al più fanta­stico strumento di omologazione dell’uomo: le macchine fotografiche della polizia.

Questo libro è ancor dedicato alla memoria delle vittime di tutti i crimini, privati e dello Stato, che con la tremenda rigidità del terrore e della morte favorirono la presa delle scene del delitto: dalle malfa­mate stanze d’albergo ai gloriosi campi di guerra dove s’ammazza per l’ideale, al marciapiede di una stazione chiamata Auschwitz. Centinaia di migliaia di persone vi conclusero l’ultimo viaggio per essere state ri­conosciute attraverso una legale segnaletica, chiamata fototessera, che affidarono all’anagrafe del proprio paese insieme all’indicazione del nome, del cognome, dell’età, religione e indirizzo.

Questo libro vuole esprimere la nostra riconoscenza di fotografi agli artisti dada e surrealisti e in particolar modo a Andy Warhol che in­tuirono lo straordinario valore della giudiziaria. Questo genere rimane estraneo al mito della fotografia e viene trascurato dalle sue storie « uf­ficiali » che non sopportano il peso della sua autentica sincerità.

Infine il libro si rivolge ai fotografi nuovi, e sono specialmente i gio­vani, quelli che « se debbono uscire con l’apparecchio l’avvolgono in un giornale per non sembrare ciò che normalmente s’intende per foto­grafo ». Cosi ha scritto uno di loro, James Colliri.

 

 

 

  1980 Santa Maria del Tiepido

 

 

SANTA MARIA DEL TIEPIDO

Ricognizione storico visiva su di un piccolo, dimenticato tempietto della campagna modenese

 Fotografie: Attilio Mina

Testi: Ugo preti

         Luigi Zanfi

 

Editrice Villani s.p.a. - Modena

 

 

Santa Maria del Tiepido la si intrav­vede percorrendo la strada Portile­Castelnuovo, alla fine di un rettifilo precedente le due ampie semicurve che immettono nell’abitato di quest’ultima località. Si trova sulla destra, all’interno, nei campi e viene individuata per un minuscolo campa­nile a vela che svetta fra le piante nei pressi di una casa colonica.

Si raggiunge la zona abbandonando la Provinciale per Modena, per im­boccare, a destra, una stradicciola in terra battuta (Via Zenzalose) che por­ta al Tiepido; poche decine di metri ed ecco sulla destra il tempietto: San­ta Maria del Tiepido; a ridosso, il complesso colonico «Fondo Santa Maria».

Il Tempio, fiancheggiato da giovani cipressi, ha l’ingresso principale a po­nente mentre dal Sagrato un duplice filare di cipressetti accompagna un vialetto a sfociare in Via Zenzalose; un’immagine carducciana in sedicesi­mo.

E ci si trova cosi innanzi un manufat­to che, pur non essendo possibile eti­chettare per stile o catalogare per epoca ben definita, in quanto accusa a prima vista numerosi e reiterati ri­facimenti, ha pur sempre una certa grazia, una certa attrattiva…

 

 

 

 

1984 il gioco dell’immagine

  

IL GIOCO DELL’IMMAGINE

Cento idee per capire e fabbricare immagini con e senza la macchina fotografica

Nicola Zanichelli Editore s.p.a. – Bologna

Ristampa 1985, 86, 87, 88

 

 

I segni, i simboli e le immagini — in special modo quelle ottiche — inducono idee ed emo­zioni il più delle volte sproporzionati in con­fronto alla realtà che materialmente esprimo­no. Questo peculiare rapporto dell’immagine fra causa ed effetto non ci sorprende assoluta­mente (e saremmo anzi propensi a sostenerne la validità quanto a fattore funzionale al no­stro vivere) se non fosse anche il risultato dei li­miti posti dalla convenzione sociale alla no­stra ragione e alla sua capacità di analisi libera e indipendente. In concreto, una resa mentale a chi le immagini a volte produce, più spesso distribuisce e sempre usa al fine di meglio eser­citare la propria fetta di potere.

La voce vuole che tutto ciò che è fotografia sia rappresentazione oggettiva del reale, es­sendo frutto della “presa diretta “ dalla realtà. Purtroppo, però, nessuno ha mai chiarito cosa sia o cosa si voglia intendere per “realtà” e, nonostante non siano mancati filosofi e saggi­sti che ne hanno teorizzato le più diverse ~~ve­rità », l’interpretazione delle immagini fotogra­fiche resta saldamente controllata dai vari “addetti ai lavori “.

Anche l’autore di questo libro — che aisimboli, alle suggestioni e alle “verità” delle immagini non crede più da tempo — sono, come si dice, operatori del settore e con l’espe­rienza dei rispettivi lavori si sono oramai per­suasi di una cosa: che qualsiasi operazione che abbia come fine la spoliazione dell’immagine di ogni simbolo e significato più o meno arbi­trariamente attribuitole, lasciando il posto al solo messaggio visivo, sia non solo una cosa « buona e giusta », ma anche un atto di rispetto verso l’intelligenza del lettore e una sana for­ma di ginnastica mentale.

In questo libro dunque non troverete né immagini-simbolo né tanto meno immagini “artistiche” o “impegnate”. Nessuna ha dei significati, ma tutte hanno un perché. Perché esistono, perché funzionano, perché si impara, perché ci si diverte ... Perché sì!

 

 

1993 ruvido paradiso

 

 

RUVIDO PARADISO

Un paese, Giussano e la sua gente nelle immagini di Luigi Rusconi, fotografo ottocentesco all’alba di un nuovo secolo.

 

Edizioni Grafiche Boffi – Giussano

(ristampa esaurita)

 

 

A noi che amiamo i giochi di specchi che si riflettono l’un l’altro all’infinito, le lenti deformanti, il cubo di Rubik, le matrioske, le scatole cinesi e ogni altra concavità che, come per incanto, racchiuda all’infinito la copia della copia della copia; insomma, tutti noi che amiamo il dritto quanto il rovescio, il finito e l’infinito, l’esatto e l’esatto opposto di ogni cosa, tutti noi che amiamo il mistero, l’impescrutabile e le sue contraddizioni, non possiamo non sentirci attratti da personaggi come Luigi Rusconi da Legnano, impiegato comunale, fo­tografo, pergamenista, incisore, attore, regista e quant’altro. Il “Sciur Gino” -così è nel ricordo di chi lo conobbe-, nacque il giorno nove, del mese di mar­zo dell’anno 1888; si trasferì a Giussano, definitiva­mente, a partire dal 1918. Giovanissimo iniziò a pra­ticare l’arte -non facile- della fotografia. Altrettanto precocemente si interessò di teatro, nei ruoli di attore, regista, scenografo e costumista. Fu anche incisore e soprattutto pergamenista eccellente. Si sposò avanti negli anni ed ebbe due figli: Anna e Gianfranco. Visse onestamente e morì serenamente, dopo molto aver fatto, nel novembre del 1961.

Nato sotto il segno dei Pesci, dunque, per chi crede nelle valenze astrologiche, il dato è già in sè una pic­cola biografia caratteriale: un segno duplice, ambiva­lentemente composto da timidezza ed aggressività, genialità e mediocrità, istrionismo e sciatteria, ironia e seriosìtà. Tutto ed il contrario di tutto. Non per nulla, forse, il suo passato sfugge ad ogni ri­cerca organica e, le sue molte opere, il suo indubbio lavoro intellettuale, si confondono con le nebbie di un lungo, interminabile inverno di una vita. Non uno di quelli che ebbero modo di conoscerlo, è in grado di tracciarne una memoria organica. Per tutti fu il più cortese dei “travet” comunali, incarico che assolse per gran parte della sua esistenza: “Un uomo gentile, un impiegato modello”. In molti è vivo il ricordo con­troverso delle sue recite e messe in scena. Fu un gran­de istrione, per alcuni; un buon attore, per altri. Taluni lo descrivono come un retore un po’ ampolloso, dalla erre ostentatamente arrotata

 

 

  1995 cordiali saluti

 

 

CORDIALI SALUTI

Parole ed immagini postali da Giussano

 

Edizioni Grafiche Boffi – Giussano

(ristampa esaurita)

Solo cartoline di una Giussano di saluti, baci, abbracci e poche righe? Non solo questo, ovviamente. Sono immagini della memoria, scorci visivi dimenticati da anni immemorabili, prospettive insperate e inaspettate: queste,rivisitate oggi, sono leimmagini d’un inizio secolo in continua ed inarrestabile trasformazione. Sono istantanee di uno squarcio di Brianza felice, insostituibile documento ottico carico di umori e sentimenti, incidentalmente distribuito e diffuso per il inondo con precisione, al tempo, tutta elvetica, dalle Regie Poste. Piccole e grandi cose in cui la storia, la memoria delle cose a stretto giro di posta si annunciava con uno squillo di tromba, si insinuava fra le cassette al limitare di giardini lindi ed odorosi sino od invadere garbatamente l’intimità delle case, dei sentimenti, dei ricordi e della quotidianità Sono formidabili cartoncini gelatinati ritornati fra noi tra mille peripezie da paesi e città talvolta lontane o, insperatamnente discesi da molto vicino, da polverosi solai, dischi usi come perle dalle valve protettrici di vecchi cassetti. Sono segni d’amore, (li comunanza, (li semplice amicizia, di lavoro macerato nei sudore; preziose, anzi, preziosissime testimonianze, oggi, di sentimenti tutti inmprescindibilmete legati ed accumunati alle immagini della terra e dei luoghi rassicuranti e cari delle nostre origini. Sono Cartoline Illustrate, visioni placide di piazze e vie in tinta (di anjlina, azzurra te dai sali ferrosi, seppiate dai mordenti o annerite dagli olii grassi degli inchiostri.

Sono Biglietti Postali di una toponomastica ora dispersa, di una socialità fra inizio di secolo e la sua prima metà: messaggi, rimembranze visive, autocoscienza di una città ormai orgogliosamente prossima allo scadere del secondo millennio. Sono stazioni postali di un itinerario ai interrotto e sempre diverso: tappe di un viaggio raccontato e, a nuovo, tutto da raccontare, scoprire, rivivere in quella trepida malinconia che sola sa rendere calde e palpitanti le cose della memoria

 

 

1997 Verano in Brianza

 

 

VERANO BRIANZA

Un löch per retruàss

 Un luogo un paese, Verano in Brianza, per ritrovarsi e rivivere il passato presente delle immagini.

 Edizioni Tipo-Lito Marelli, Verano Brianza

 

 

Di solito il passato ci viene incontro in una forma ufficiale o addirittura solenne; entriamo in contatto con testimonianze di vario genere - maestosità architettoniche, opere letterarie, mitologie, leggende... - ma tutte invariabilmente suggerite e forse condizionate da una intenzione ostinata; quella di dura­re il più a lungo possibile e celebrare nell’ufficialità stentorea il tutto di tutto e il niente. La propria terra, ogni paese, il “Paese”, esiste indipendente­mente da tutto questo o fors’anche in opposizione a tutto questo. Esiste nella memoria delle cose, nel ricordo dei sensi, nella carne. Esiste e si perpetua ben al di là della violenza del tempo, dell’imbarbarimento degli anni e dello stupro delle idee. Esiste e vive ogni volta che un uomo si accosta ad una briciola delle proprie cose partendo da lontano, dove tutto e terra, all’inizio. Esiste, per chi crede e vive con devozione quasi religiosa la cultura delle cose semplici ed antiche. Il passato, quello nostro, meno solenne, nella quotidianità di una vita vissuta tra una sovrumana fatica e lavoro ininterrot­to, riemerge tra le poche immagini rimaste da una lunga notte della memoria fatta e rivissuta tra vita e speranza. Ci pare persino superfluo illustrare, analizzare e spiegare alla voce o con parole scritte la “storia intima” di un paese, “Verano in Brianza”, da rivivere tutto con un “occhio selvag­gio” e perenne. Le parole necessarie, qualora ve ne fosse il bisogno, sono già tutte racchiuse nelle immagini residue dal tempo, nei segni tracciati sulle carte minime e le pietre scheg­giate dai carri, nelle insegne delle vecchie “trattorie con sal­lazzo”, nei bianchi veli riposti dalle “figlie di Maria”, nelle vedute sconfinate oltre le forre, sulle masse di terra e roccia che agiscono contemporaneamente sulla vista, sul tatto e sull’olfatto col loro penetrante ed antico alito di muschio, radici e terra sventrata…

 

 

1997  identità

 

IDENTITA’

Mariano Comense in fototessera nelle 12.890 immagini dei Tagliabue fotografi 1960-1968

Edizioni Grafiche Mariano s.p.a

 

 

Nella ricerca iconografica attorno ad un tema possono accadere due tipi di guai. Il primo è grave: la ricerca si rivela infruttuosa, sterile e produce in tal modo poco materiale e, solitamente di qualità bassa, scarsa, se non addirittura nulla nella sua peculiarità estetica. Il secondo è ancora peggio, è gravissimo: il materiale reperito è troppo ed eccellente. Poiché è l'abbondanza che crea quello che si sottintende in modo spiccio come "imbarazzo della scelta", ciò produce e da luogo a sindromi assai crudeli, ad arrovellamenti autolesionisti sia nei confronti del proprio senso estetico, sia in quello del tema-lavoro che ci si è prefissati.

Scegliere è difficile, improbo quando poi si tratta di immagini che in qualche misura determinano e qualificano, come nel nostro caso, l'identità di un'epoca precisa e di un intero paese.

Il lavoro di cernita se deve essere fatto richiede in tal caso una esperienza enorme, una acuta sensibilità e all'optimum, dovrebbe funzionare all'opposto della norma: durare pochissimo tempo per rendere maggiormente ed essere più significativamente espressivo e personale nel suo impatto.

Organizzarne la scelta, valutarne le opzioni possibili, determinarne il peso, stabilirne l'integrale utilizzo di tutta quanta la mole disponibile delle immagini prima, dei dati poi, presuppone la ricerca prioritaria di un imballo, di una forma che sia nello stesso tempo logica ed originale.

Fra questi due aggettivi e relativi criteri, non ce lo nascondiamo certamente c'è un limite di contraddizione apparente, un contraddittorio filo rosso sotterraneo.

La logica, nel suo incedere progressivo, dispone, suddivide, pone ordine, stabilisce limiti, rinasce e si riforma in continuazione, non scaturisce mai dal nulla.

L'originalità è rappresentata - sempre da una particolarità in certa misura inusuale, nuova, differente dal solito che, per non essere od apparire stravaganza se non devianza - specie dal buon gusto - deve aprioristicamente rappresentare una sintesi "nuova" dell'esperienza che si vuol portare a compimento.

Un insieme comunque formato di immagini che superi questa contraddizione di base, è del tutto raro.

Nel contesto della nostra ricerca, pur nella limitatezza (non certo dell'importanza storica e culturale) del periodo temporale che ci eravamo imposti (1961/1968), inevitabilmente abbiamo trovato troppo materiale, e per di più di ottima fattura sia tecnica che estetica.

Le quasi trentamila tessere ottiche dello sconfinato casellario in negativo (fotografico) dell'archivio Tagliabue che gli studenti della sezione di Grafica Pubblicitaria hanno da prima, al caso ripristinato, poi riportato alla luce attraverso le metodiche della stampa seriale, ne sono la più evidente delle testimonianze.

Se scriviamo che tra le diverse e non infinite categorie dell'immagine ottica, quella dell'immagine segnaletica, più dolcemente chiamata "Fototessera", è, e rappresenta il tema iconografico più "consumato" e celebrato dell'intera iconografia fotografica, ciò non vuole essere di certo una affermazione gratuita: è un dato di fatto, una nozione statistica pura e semplice. E i criteri possibili di suddivisione, presentazione (sia nella mostra che nella presente monografia) di un genere così familiarmente comune, democratico e popolare, fatto di immagini apparentemente uguali ma sempre diverse, sono estremamente limitati dalla "logica", quanto e soprattutto nell'originalità.

La pretesa molto modesta delle pagine a seguire vuole quindi essere quella di suggerire semplicemente un principio di ricerca allo stesso tempo minimamente logico ed originale.

Non sappiamo, meglio, non abbiamo la certezza che tutto quanto il nostro lavoro, alla fine risulterà chiaro in assoluto. Forse, risulterà chiarissimo a chi ha pratica di immagini, meno per chi non ne ha. Ma forse, ed è più di una certezza, interessante per molti; per tutti, originale, nuovo ed intrigante come e più dei mai finiti tasselli di un insperato, improbabile caleidoscopio delle memorie.

 

 

inserito nella mostra: “la città infinita” alla Triennale

 

LA CITTA' INFINITA

A cura di Aldo Bonomi e Alberto Abruzzese

Catalogo Bruno Mondadori, Milano

 

 

 

1998  Giussano corpo 30

 

 

GIUSSANO CORPO 30

Giussano nelle pagine di cronaca de “Il Cittadino” 1935-1960

 

 Edizioni Il Cittadino, Monza.

Il tutto e il niente…

Il limo della storia intesa come cronologia o successione minimale di episodi e nomi rimossi, gli accadimenti, gli eventi di quasi mezzo secolo cittadino riportati quasi tutti nelle corpose pagine a seguire, potranno apparire ai “non d’epoca” sommamente confusi tra loro, talvolta ripetitivi o monotoni.

Di ciò vi è causa e ragione. La cronaca frammentaria dell’ordinarietà dei fatti, e talora piccoli misfatti, nostrani pare ripetersi negli anni con modalità cicliche e immutabili, fino a mordersi la coda nella ruota implacabile del tempo, che “non passa” ma “gira”, al pari delle stagioni, dei cicli dell’universo, della terra, del lavoro, della stessa vita. E’ il ripetersi e il perpetuarsi dei nomi, dei patronimici, delle gerarchie, dei ruoli, delle cariche, dei titoli , delle ufficialità quanto nelle minimalità delle azioni e delle opere.

Quali potranno essere in un simile laico cronicon le possibili chiavi interpretative nei confronti di un accesso privilegiato e curioso alla ruota del tempo nostro men che recente?

Molte di certo, personalissime o meno; talune, se ben finalizzate, soddisfacenti, storicamente pertinenti, gratificanti e talora divertenti. Ai più smaliziati, ai meno interessati ai solo accadimenti della storia, ai mai appagati dai libri suggeriamo una lettura a “sguardo veloce”, in rapida caracollata di pagine, fatta di umori, sapori d’epoca, lessico in brani sciolti, incipit di cronaca, chiose e chiuse moraleggianti.

Simile approccio, per rendere al meglio e permettere una percezione del tempo e dei suoi segni, andrebbe preceduto dalla lettura divertente, utile per altre ragioni e chiarificatrice de: “La retorica antica” di Roland Barthes (Bompiani Editore), e dell’ottimo “Dizionario di retorica e stilistica” di Angelo Marchese (Oscar Mondadori Editore).

Ai meno esperti suggeriamo di portare a compimento un approccio tematico al testo, da sviluppare attraverso una personale quanto approfondita lettura a scandaglio, fatta di periodi definiti negli anni, nel tempo o ripescati nel groviglio degli episodi più significanti. Un’immersione profonda anziché nel mare, in un piccolo, limitato ristagno di notizie.