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Paolo Gorini il pietrificatore

 

 

La Collezione anatomica Paolo Gorini, a Lodi,  raccoglie oggi i numerosi preparati umani prodotti dallo scienziato fra i primi anni Quaranta e i Settanta del secolo XIX, che per primo agli inizi degli anni settanta ho fotografato dopo averli rintracciati imballati nei sotterranei dell'ospedale vecchio della città. Ma chi fu in realtà il "mago di Lodi", come i concittadini erano soliti definirlo in vita? Fu al suo tempo molto noto anche come geologo, matematico e, soprattutto, come autore della conservazione della salma di Giuseppe Mazzini. Come conservatore di corpi (imbalsamatore) operava nelle sue ricerche  con modalità simili a quelle di noti luminari a lui coevi, seguendo le tracce di Girolamo Segato, che, pochi anni prima, aveva trovato un metodo adatto allo scopo, in un’epoca in cui sia la radiologia sia le celle frigorifere erano ancora sostanzialmente lontane. In realtà, Gorini faceva uso di molte formule chimiche per ottenere i propri sorprendenti risultati, non rivelandone mai la composizione e mantenendo gelosamente il segreto della “pietrificazione”. Si, ho proprio detto "pietrificazione", perchè quelli da me rintracciati nelle solitarie ispezioni dei meandri e sotto altari del vecchio lazzaretto lodigiano, sono uomini o parti di uomini resi di pietra, taluni scolpiti, scarnificati, torniti, altri a far bella mostra di sè con tutto il corpo scultoreo e nudo. Gorini era affascitato dall'idea di possedere, unico, i segreti della scienza  che gli consentivano di creare e produrre "l'arte perfetta", ovvero quella  in cui il corpo dell'uomo, il suo residuo diveniva  materia creatrice, nè più nè meno della creta, della pietra, del legno. Noti i suoi scritti e nelle lettere sul tema scambiate con gli artisti coevi ed in particolar modo con gli scapigliati e i fauves , tratta della supremazia della scienza sull'arte tradizionale e nei fatti cercò persino un antesignano "urlo" di Munch. Straziante quello ottenuto con scarnificazione dal Gorini.

 

 

 

LA COLLEZIONE ANATOMICA ‘PAOLO GORINI’ di Lodi

 

A Lodi in piazza Ospitale, conosciuta anche come piazza san Francesco per la presenza della medievale e omonima chiesa, si può ammirare il monumento dedicato allo scienziato Gorini (nato a Pavia nel 1813 e morto a Lodi nel 1881), personaggio eclettico che è un vanto controverso per la città .

Dai suoi studi sulla conservazione artificiale dei corpi, sono nati molti preparati anatomici interessantissimi, che trovano posto nell’attuale disposizione museale a lui dedicata. Per cercare di capire al meglio il significato scientifico, storico e antropologico di questa collezione, è opportuno risalire al contesto in cui la tecnica della preparazione dei corpi è nata, si è sviluppata ed ha raggiunto risultati sorprendenti. In particolare, è bene ricordare che, a partire dal XIX secolo, le scienze naturali avevano preso il galoppo; le nuove scoperte sui fossili crearono un'irresistibile curiosità

sulla loro formazione. Essi, infatti, rappresentano la più perfetta mummificazione naturale e gli studiosi ritenevano possibile riprodurre in laboratorio - in tempi brevi- ciò che la natura, in tempi lunghissimi, riusciva a compiere. Paolo Gorini era appassionato di geologia, non a caso. Noti sono i suoi studi sulle origini delle montagne e sui vulcani. Inoltre, il clima in cui si trovò ad operare Gorini era quello della Scapigliatura, del Positivismo e del Materialismo. Fin da piccolo aveva nutrito interesse per i fenomeni

naturali che lo circondavano; ad esempio sottraeva del pane alla mensa

domestica, quotidianamente, per riporlo poi in cassettine di legno numerate,

seguendone il disfacimento. Laureatosi in Fisica e Matematica, insegnò per 24

anni al Liceo scientifico di Lodi Matematica, Fisica e Scienze Naturali. I suoi

interessi nel campo della conservazione dei materiali organici e della geologia

andarono di pari passo sempre.

Cerchiamo di immaginare questo 'lupo solitario' nei locali del suo laboratorio, che aveva allestito in un ex -monastero di Lodi, quello di San Nicolò (andato completamente distrutto), dal quale potevasi vedere la facciata della chiesa di San Francesco, accanto alla quale oggi si erge il monumento a lui dedicato. Aveva scelto un antico monastero sconsacrato, con quell'atmosfera mistica di meditazione che un luogo simile induce, per sperimentare. Da quel suo 'antro' sono uscite le preparazioni che ritrovate e documentate dal giornalista e fotografo, prof. Attilio Mina nella metà degli anni 70 , oggi possiamo vedere dietro le vetrine del museo a lui intitolato e fondato nel 1981 dal prof. Antonio Allegri, anatomo-patologo che ne curò personalmente l'allestimento. Se l'edificio fisico dove operò Gorini per quarant'anni, pensandovi, studiandovi, sperimentandovi in modo nascosto agli occhi della gente (perchè nessuno o quasi potè mai entrare, in quanto proteggere le proprie scoperte era di fondamentale importanza) non esiste più, sono giunte fino a noi le descrizioni di come fosse, grazie alla sua Autobiografia (curata da Carlo Dossi).

Il Dossi,

inoltre, nelle sue 'Note Azzurre' (n.2739) scrive, riferendosi al laboratorio

goriniano:"[...] Le quattro porte - Sistema d'ingresso-La porta che

conduce alla "brugna" dell'Ospedale-La stanza piena di fiaschi, e di

fiale-la stanza del carbone e del materiale vulcanico-La corte delle fornaci;

la corte del crematojo-l'orto dall'eccellente frutta, ingrassata dai morti-etc.

Lo studietto, colle preparazioni[...].

 

Gorini doveva essere un uomo tutt'altro chesprovveduto; intuiva che dietro quelle mura la gente mormorasse di lui le cose più disparate:che facesse muovere i morti e che la porta del suo laboratorio l'aprisse un..automa! In realtà dai suoi scritti emerge la figura di un uomo prudente, che usava la dovuta cautela per tutelare se stesso e il proprio lavoro, che sicuramente molti non avrebbero capito nè valutato nella giusta valenza. E' estremamente difficile, ai nostri occhi di persone 'moderne', penetrare fino in fondo quegli intenti, che appaiono per certi versi grotteschi. Paolo Gorini si incaricò della pietrificazione di personaggi illustri, come Giuseppe Mazzini e lo scrittore milanese Giuseppe Rovani. Per fare ciò, lasciò naturalmente il proprio abituale laboratorio, per recarsi nei luoghi dove giacevano le salme su cui operare.

 

La Collezione attuale

 

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1881, si aprì il problema dell'acquisizione di tutto il materiale, cartaceo e non, che lo scienziato aveva accumulato nel corso degli anni. Venne inoltrata una richiesta allo Stato affinchè provvedesse a farla propria, come bene comune, ma la domanda venne respinta clamorosamente. Il segreto della pietrificazione goriniana doveva essere ben noto al celebre medico Malachia De Cristoforis, incaricato di formare e presiedere la Commissione Parlamentare per l’acquisto del lascito dello scienziato da parte dello Stato. Tutto restò dunque a Lodi e gli eredi lo donarono all'Ospedale locale, dove per decenni venne lasciato quasi dimenticato, come il suo fautore.

 

Il fotografo Attilio Mina nel corso di sue ricerche storiche e ricognizioni

visive sulla tanatologia positivistica (Lombroso) rintracciò l’intera

collezione goriniana nei sott’altari del vecchio e ormai abbandonato Ospitale

di Lodi . Nella solitudine di quelle cantine tetre ed umide, il fotografo

scoperchiò una ad una le antiche casse e documentò minuziosamente ogni reperto. Fu poi, pochi anni dopo questo prezioso ritrovamento  che il prof. Allegri, negli anni 80 del secolo scorso, si incaricò di recuperare quel prezioso materiale, di restaurarlo e ripulirlo, e di renderlo fruibile al pubblico. Cento anni dopo la morte di Gorini, nel 1981, venne inaugurato lo spazio museale-dove si trova attualmente la collezione- alla presenza di Giovanni Spadolini. Sono circa 170 i pezzi esposti, che occupano un'unica sala, il cui soffitto è elegantemente affrescato a grottesche (opera del 1593 di Giulio Ferrari). Tra di essi si annoverano preparati a secco (cioè senza immersione in spirito di vino) e i petrafatti o pietrificati. Il valore scientifico della collezione consiste in diversi aspetti che si possono sintetizzare in due tipi:

 

- l'abilità raggiunta da Gorini all'epoca;

- la natura illustrativa (o didattica) di uno spaccato della società ottocentesca, come la presenza di patologie comuni a quel tempo e oggi debellate o meno incisive (come il morbo di Pott), polidattilie, una colonna vertebrale cifoscoliotica impressionante.

 

Visitando questo museo, non si viene colti da un senso del macabro ma da uno stupore frammisto a perplessità. Sicuramente si deve essere motivati ben più che da semplice curiosità: questa non è un'esposizione di oggetti. E' qualcosa di più, qualcosa che va visitato con sensibilità e forse con una certa preparazione, sia culturale che interiore. Anche se i pezzi -ben riconoscibili- fanno 'dimenticare' per alcuni istanti che sono materia organica. I volti, montati su supporti, sono le parti a nostro avviso più toccanti, con quello sguardo che sembra seguire ad ogni passo (Gorini usava applicare finti occhi alle sue salme, eccetto che in rarissimi casi). Dietro ad ogni volto, sembra scorrere -invisibile- una storia, la sua storia personale che mai conosceremo. I capelli sono fluenti, tanto nei maschi quanto nelle femmine; nei primi la barba è ancora presente al livello in cui cessò di crescere. In tutti, l'espressione indecifrabile che cattura e porta nei misteri insondabili dell'Uomo, dei confini che raggiunge, che costeggia e che poi travalica, per la sua sete di conoscenza.

Attualmente la Collezione, curata per l'apparato storico-scientifico prof. Alberto Carli, ed è aperta al pubblico in alcuni giorni della settimana

 

Marisa  Uberti